Willow Pattern Questo famosissimo decoro, denominato “willow pattern” (motivo del salice), fu disegnato da Thomas Minton nel 1790 circa sulla base di un antico decoro cinese detto “Mandarino” e da quel momento ebbe una larga… Altro
Vittorio Emanuele II – 5 Lire d’argento conio di Milano 1869 Questa è una moneta speciale per la sua storia, sia per la memoria collettiva, sia per la mia. Con questa moneta sono stati battezzati… Altro
Non mi poriano già mai fare ammenda. – Sonetto (Rime LI) adespoto nel Memoriale bolognese del notaio trecentesco Enrichetto delle Querce, da cui fu trascritto primieramente nel 1869 da Giovanni Gozzadini, attribuito invece a D. in diversi manoscritti, per es. Chigiano L VIII 305 (c. 59v), Bartoliniano (c. 2v), Trivulziano 1058 (già Bossi 36: c. 41j), cod. 820 (già 824) della biblioteca Capitolare di Verona (c. 102d), cod. II II 144 della biblioteca Nazionale di Firenze (c. 28v) e cod. 2448 dell’università di Bologna (c. 1r).
Edito per la prima volta nel 1874 da Angelo Gualandi, che lo attribuì a Enrichetto delle Querce, fu ristampato l’anno dopo dal Gozzadini, e nel 1876 dal Carducci (che già l’aveva comunicato nel 1872 alla Deputazione di Storia patria per le province di Romagna), come di autore incerto. Nel biennio successivo, invece, apparve ne ” Il Propugnatore ” (voli. X-XII), con la paternità di D., nell’edizione diplomatica del ” Canzoniere Chigiano ” fatta dal Monaci e dal Molteni; e nel 1879 fu ripubblicato dal Witte, nelle Dante Forschungen, fra le rime attribuite all’Alighieri, ma con l’esplicita attestazione che esso ” di certo non gli sembrava fattura di Dante “. Flaminio Pellegrini lo dette nuovamente in luce nel 1890, tentandone una ricostituzione critica, nell’opuscolo Di un sonetto sopra la torre Garisenda attribuito a D., e, pur non esprimendo alcun parere sull’autore, si dimostrò incerto nell’assegnarlo a D., non essendo convinto che egli fosse stato a Bologna, per lo studio del diritto, nella sua giovinezza. Anche il Sighinolfi non credette alla sua autenticità, e asserì che ” l’attribuzione a Dante è pura supposizione erudita della seconda metà del sec. XIV “. Successivamente il Barbi, sul fondamento della comune concordanza dei codici, che lo ascrivono all’Alighieri, lo ristampò con le altre rime dantesche nelle sue Opere, e lo incluse fra quelle del tempo della Vita Nuova, considerando che esso è senza dubbio anteriore al 1287, quando fu compilato appunto il Memoriale in cui è contenuto. Dopo di lui nessuna incertezza è più sorta, fra gli studiosi, sull’autenticità del componimento.
Varie, e spesso discordi sono state le interpretazioni del sonetto. Alcuni, infatti, hanno creduto che il poeta si mostri sdegnatissimo e minacci i suoi occhi di accecamento per aver mirato con diletto solo la torre della Garisenda, senza porre attenzione a quella degli Asinelli, che è tanto famosa in ogni luogo per la sua altezza (Ricci, Torraca, Pellegrini, Zingarelli). Altri, al contrario, hanno supposto che la maggior de la qual si favelli sia una gentildonna, molto celebrata a Bologna per la sua avvenenza (Carducci, Barbi). Certuni, inoltre, sono stati di opinione che quella contrapposta alla Garisenda / torre sia probabilmente una donna della famiglia dei Garisendi, la maggiore, cioè ” la più alta “, se il paragone fra le due s’intende in senso scherzoso (Lovarini); ” la più illustre “, se invece si giudica scevro di ogni intento satirico (Mazzoni). Qualcuno, infine (e tralasciamo, fra l’altro, le ingegnose spiegazioni del Gualandi, del Bilancioni, dello Zenatti, del Parodi, del Filippini), ha addirittura congetturato che la prima è ‛ senhal ‘ di una donna, per il cui vagheggiamento gli occhi del poeta non conobbero ” nel suo valore ” la maggiore di tutte le altre lodate, cioè ” Beatrice lontana ” (Salvadori, Bertoni).
Il senso del sonetto, che, come afferma il Confini, è in generale ” una divertita iperbole di scuola “, non è molto evidente: per questo talune espressioni, come risguardi (v. 4), con elli (v. 8) – che nel Memoriale si leggono, rispettivamente, ” cum li sguardi “, ” sonelli ” -, poi tanto furo (v. 9), sono state argomento di varie chiose e supposizioni allo scopo di poter dare un significato possibile a lle frasi Il Carducci, ad esempio, propose di correggere belli in felli, cioè traditori, e poi in rei; il Pellegrini furo in feron, secondo la variante del cod. 820 della Capitolare di Verona; il Lovarini soneli in reveli, cioè ribelli, o in sonnelli, cioè sonnacchiosi, considerando il termine come aggettivo da unire sintatticamente col v. 9; e così via. Ci sembra a ogni modo che, fra le interpretazioni suggerite, le più logiche e conformi al senso letterale di esso restino ancora quelle del Ricci e del Carducci.
Nel 1959 Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Amalfi 1968) vince il premio Nobel per la letteratura. Il giorno in cui ne riceve la comunicazione una troupe televisiva lo accompagna in diversi momenti. Il giornalista sottolinea l’atteggiamento imperturbabile mantenuto dal poeta di origine siciliana anche in questa solenne occasione: la sua sobrietà richiama la misura classica dei suoi versi. Le telecamere seguono Quasimodo al conservatorio dove insegna, il Giuseppe Verdi di Milano, sua città d’adozione, poi nel suo appartamento di Corso Garibaldi, dove il poeta legge la sua Lettera alla madre e risponde ad alcune domande sulle ragioni dell’attribuzione del Nobel. Immagini della spiaggia di Roccalumera mostrano uno dei luoghi più cari al poeta da giovane.
[…] “Spariti” era la parola che fissavo più di ogni altra, abbagliata. Essa svegliava degli echi e dei sospetti così profondi nel mio cuore, che un vero terrore succhiò il caldo della mia fronte, e per un attimo, l’immobilità stessa e io ci abbracciammo. Anna Maria Ortese, da “I giorni del cielo”, Mondadori, Milano 1958
Temi Premiati per il Concorso Nazionale Celebrazione del Pane
1928
Edizione originale e d’epoca,
opera impressa in epoca fascista, e contrassegnata da un motto di Mussolini su come amare il pane (motto citato sia in copertina che sul frontespizio), con all’interno la
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE
e i vari temi premiati, temi di studenti di varie scuole italiane tra cui
Della stessa Opera Nazionale il manifesto sotto, acquistato tempo fa:
Collezione Personale
Bibliografia:
La battaglia del grano : depressione economica e politica cerealicola fascista, di Luciano Segre – CLESAV, Milano 1984
Il Fascismo rurale. Arrigo Serpieri e la bonifica integrale, di Fabrizio Marasti – Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2001
La Battaglia del grano: costi e ricavi, di Pier Luigi Profumieri – “Rivista di storia dell’agricoltura”, giugno 1971, n. 2.