Willow Pattern Questo famosissimo decoro, denominato “willow pattern” (motivo del salice), fu disegnato da Thomas Minton nel 1790 circa sulla base di un antico decoro cinese detto “Mandarino” e da quel momento ebbe una larga… Altro
Vittorio Emanuele II – 5 Lire d’argento conio di Milano 1869 Questa è una moneta speciale per la sua storia, sia per la memoria collettiva, sia per la mia. Con questa moneta sono stati battezzati… Altro
Busca, s.f. Cerca, Accatto. Andare in busca, andar cercando checchessia. Dal Nuovo Vocabolaro Universale della lingua italiana di B. Melzi 1882 Quinta Edizione Fratelli Garnier Edizioni Collezione Privata
JASPER WEDGWOOD wedgwood Jasper Il Jasper è il tipo di porcellana che ha reso famoso nel mondo il nome di Wedgwood. Questa produzione viene realizzata con grès vetroso non smaltato che può essere colorato… Altro
The Studio, London, #ArtNouveau, Rivista di #ArtiApplicate #THESTUDIO The Studio fu uno dei più longevi periodici dedicati all’Art Nouveau, con un attenzione particolare alle Arti Applicate e all’Architettura, nonchè alle Esposizioni Universali. Primo numero… Altro
L’imprenditore Arturo Gazzoni, già autore dell’Antinevrotico De Giovanni (1907) e della polvere Idrolitina per l’acqua “pizzichina”, lancia le sue famose pasticche del Re Sole contro la tosse, accompagnate da un sonetto di Trilussa: “Il pappagallo raffreddato”. Durante il fascismo il cavalier Gazzoni sarà noto, oltre che come teorico della pubblicità, anche come produttore dell’Oleoricina, purgante in polvere senza odore e sapore a base di olio di ricino. Sarà a partire dalla commessa di Arturo Gazzoni al socio Gaetano Barbieri per una macchina imbustatrice della polvere Idrolitina, che nel 1924 verrà lanciato a Bologna il promettente settore delle macchine di confezionamento (packaging).
Le Pastiglie della Madonna della Salute della Ditta Farmaceutica Alberani
Il 21 marzo esce il primo numero del “Resto del Carlino”, giornale fondato con 400 lire da un gruppo di giovani laureati in legge di idee liberali: Cesare Chiusoli, Alberto Carboni, Giulio Padovani e Francesco Tonolla, “i quattro moschettieri”. Viene stampato in formato “notarile” (19×29 cm) nella tipografia Azzoguidi, presso palazzo Barbazzi, in via Garibaldi n. 3. Costa due centesimi, il resto della moneta di rame da dieci centesimi (detta “carlein”) necessaria per l’acquisto di un sigaro toscano. “Dare il resto del carlino” è anche in gergo promettere il seguito di una punizione o di un rimprovero, quindi per estensione strigliare, sferzare. Il nuovo foglio, pensato come giornale “di concetto” più che di informazione, vuole essere un pezzo di pane quotidiano “a prezzo minimo”, una sorta di concentrato Liebig applicato al giornalismo. Nei primi tempi il “Carlino” appoggia l’Associazione democratica bolognese e i socialisti dell’avv. Giuseppe Barbanti Brodano. In seguito abbandona le posizioni radicali e aderisce alla svolta liberale filo-crispina. Il successo delle vendite ne renderà presto difficile la gestione amministrativa: nel 1886 i fondatori cederanno le proprie quote a Amilcare Zamorani. Dal 1889 avrà una propria tipografia, primo tra i giornali bolognesi.
Non mi poriano già mai fare ammenda. – Sonetto (Rime LI) adespoto nel Memoriale bolognese del notaio trecentesco Enrichetto delle Querce, da cui fu trascritto primieramente nel 1869 da Giovanni Gozzadini, attribuito invece a D. in diversi manoscritti, per es. Chigiano L VIII 305 (c. 59v), Bartoliniano (c. 2v), Trivulziano 1058 (già Bossi 36: c. 41j), cod. 820 (già 824) della biblioteca Capitolare di Verona (c. 102d), cod. II II 144 della biblioteca Nazionale di Firenze (c. 28v) e cod. 2448 dell’università di Bologna (c. 1r).
Edito per la prima volta nel 1874 da Angelo Gualandi, che lo attribuì a Enrichetto delle Querce, fu ristampato l’anno dopo dal Gozzadini, e nel 1876 dal Carducci (che già l’aveva comunicato nel 1872 alla Deputazione di Storia patria per le province di Romagna), come di autore incerto. Nel biennio successivo, invece, apparve ne ” Il Propugnatore ” (voli. X-XII), con la paternità di D., nell’edizione diplomatica del ” Canzoniere Chigiano ” fatta dal Monaci e dal Molteni; e nel 1879 fu ripubblicato dal Witte, nelle Dante Forschungen, fra le rime attribuite all’Alighieri, ma con l’esplicita attestazione che esso ” di certo non gli sembrava fattura di Dante “. Flaminio Pellegrini lo dette nuovamente in luce nel 1890, tentandone una ricostituzione critica, nell’opuscolo Di un sonetto sopra la torre Garisenda attribuito a D., e, pur non esprimendo alcun parere sull’autore, si dimostrò incerto nell’assegnarlo a D., non essendo convinto che egli fosse stato a Bologna, per lo studio del diritto, nella sua giovinezza. Anche il Sighinolfi non credette alla sua autenticità, e asserì che ” l’attribuzione a Dante è pura supposizione erudita della seconda metà del sec. XIV “. Successivamente il Barbi, sul fondamento della comune concordanza dei codici, che lo ascrivono all’Alighieri, lo ristampò con le altre rime dantesche nelle sue Opere, e lo incluse fra quelle del tempo della Vita Nuova, considerando che esso è senza dubbio anteriore al 1287, quando fu compilato appunto il Memoriale in cui è contenuto. Dopo di lui nessuna incertezza è più sorta, fra gli studiosi, sull’autenticità del componimento.
Varie, e spesso discordi sono state le interpretazioni del sonetto. Alcuni, infatti, hanno creduto che il poeta si mostri sdegnatissimo e minacci i suoi occhi di accecamento per aver mirato con diletto solo la torre della Garisenda, senza porre attenzione a quella degli Asinelli, che è tanto famosa in ogni luogo per la sua altezza (Ricci, Torraca, Pellegrini, Zingarelli). Altri, al contrario, hanno supposto che la maggior de la qual si favelli sia una gentildonna, molto celebrata a Bologna per la sua avvenenza (Carducci, Barbi). Certuni, inoltre, sono stati di opinione che quella contrapposta alla Garisenda / torre sia probabilmente una donna della famiglia dei Garisendi, la maggiore, cioè ” la più alta “, se il paragone fra le due s’intende in senso scherzoso (Lovarini); ” la più illustre “, se invece si giudica scevro di ogni intento satirico (Mazzoni). Qualcuno, infine (e tralasciamo, fra l’altro, le ingegnose spiegazioni del Gualandi, del Bilancioni, dello Zenatti, del Parodi, del Filippini), ha addirittura congetturato che la prima è ‛ senhal ‘ di una donna, per il cui vagheggiamento gli occhi del poeta non conobbero ” nel suo valore ” la maggiore di tutte le altre lodate, cioè ” Beatrice lontana ” (Salvadori, Bertoni).
Il senso del sonetto, che, come afferma il Confini, è in generale ” una divertita iperbole di scuola “, non è molto evidente: per questo talune espressioni, come risguardi (v. 4), con elli (v. 8) – che nel Memoriale si leggono, rispettivamente, ” cum li sguardi “, ” sonelli ” -, poi tanto furo (v. 9), sono state argomento di varie chiose e supposizioni allo scopo di poter dare un significato possibile a lle frasi Il Carducci, ad esempio, propose di correggere belli in felli, cioè traditori, e poi in rei; il Pellegrini furo in feron, secondo la variante del cod. 820 della Capitolare di Verona; il Lovarini soneli in reveli, cioè ribelli, o in sonnelli, cioè sonnacchiosi, considerando il termine come aggettivo da unire sintatticamente col v. 9; e così via. Ci sembra a ogni modo che, fra le interpretazioni suggerite, le più logiche e conformi al senso letterale di esso restino ancora quelle del Ricci e del Carducci.
Augusto Majani (Budrio, Bologna 1867 – Buttrio, Udine 1959) è stato un artista poliedrico, non ancora sufficientemente noto ai più come meriterebbero la sua produzione di artista e la sua figura di uomo di spirito e di eccelso caricaturista.
Conosciuto anche con lo pseudonimo di Nasìcaha attraversato il mondo della cultura bolognese sotto varie sfaccettature: pittore e docente dell’Accademia di Belle Arti; ottimo e sagace illustratore, fu anche giornalista e scrittore.
Frequentatore di Carducci, Pascoli, Testoni, Guerrini, Oriani, Panzacchi,Trilussa, Ojetti e d’Annunzio, collaborò a lungo con Il Resto del Carlino, con le maggiori riviste italiane e con periodici umoristici bolognesi come Il fittone, Ehi! ch’al scusa e Bologna che dorme, solo per citarne qualcuno….
Napoleone Bonaparte, il quale si era fatto proclamare dal Senato Imperatore dei francesi facendosi incoronare da Papa Pio VII, trasformò la precedente Repubblica Italiana in Regno d’Italia autonominandosi Re d’Italia: l’incoronazione avvenne il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano apponendo sul capo del generale corso l’antica Corona ferrea dei sovranilongobardi.
Eugène de Beauharnais, figlio di prime nozze della moglie di Napoleone, Giuseppina, di cui il Bonaparte si fidava ciecamente e dal quale era sicuro di non dovere temere il perseguimento obiettivi politici propri, fu nominato Viceré d’Italia, che stabilì la propria residenza a Monza. Con la pace di Presburgo del 26 dicembre 1805, l’Austria rinunciò aGorizia ed alla Provincia Veneta.
Con la Convenzione di Fontainebleau avvenuta il 10 Ottobre 1807, il Regno d’Italia napoleonico cedette Monfalcone all’Austria guadagnando la città di Gradisca[1], spostando così il nuovo confine lungo il fiume Isonzo.
Un contingente di truppe italiane della Guardia Reale Italiana partecipò alle guerre napoleoniche, in particolare nel 1808 alla Guerra d’indipendenza spagnola, nel 1809, sulle Alpi, alla campagna contro l’Austria che aveva aderito alla Quinta coalizione e nel 1812Campagna di Russia.
Il Regno d’Italia cessò di esistere nel 1814 con la fine del periodo napoleonico: il 6 aprile1814, Napoleone si disse pronto ad abdicare, atto che fu formalizzato il giorno 11. Il giorno 16 il Beauharnais comunicava di avere concluso anch’egli un armistizio con ilfeldmaresciallo austriaco Bellegarde, anche se sperava che il suo trono potesse essere salvato dalla disfatta napoleonica.
Dopo i disordini milanesi del 20 aprile con il linciaggio a morte del ministro delle finanzeGiuseppe Prina ad opera della folla inferocita, Beauharnais capì tuttavia di non avere l’appoggio della popolazione. La gente lo identificava infatti con i detestati francesi e così il giorno 26 abdicò, lasciando il giorno successivo l’Italia per ritirarsi in esilio in Bavierapresso i suoceri. Aveva così fine il Regno napoleonico d’Italia, ma la restaurazione mantenne ad Eugenio Beauharnais, auspice lo Zar di Russia, un cospicuo appannaggionelle Marche (Si tratta di 2.300 tenute agricole e 137 palazzi urbani che erano stati espropriati durante il periodo napoleonico allo Stato della Chiesa).
La Repubblica cisalpina, chiamata in seguito Repubblica italiana poi Regno d’Italia, e risultato della fusione delle repubbliche cis- e transpadana, fu oggetto di numerose modifiche nelle suddivisioni, a causa dell’instabilità delle sue frontiere. Al massimo della sua estensione, nel 1812, contava 24 dipartimenti:
Dipartimento del Reno
Il Reno fu un dipartimento della Repubblica Cispadana, della Repubblica Cisalpina, dellaRepubblica Italiana e infine del Regno d’Italia, dal 1797 al 1815. Prendeva il nome dal fiume Reno e aveva come capoluogo Bologna.
Il dipartimento fu creato il 5 gennaio 1797 alla creazione della Repubblica Cispadana, per poi essere integrato nella Repubblica Cisalpina, però senza i territori del dipartimento dell’alta Padusa, nella zona di Cento, tra 1797 e 1798. Il dipartimento venne successivamente ricreato per un breve periodo tra l’aprile e il maggio 1815 in occasione della riconquista delle regioni centro-meridionali dell’Italia da parte di Gioacchino Murat.
Pittore autodidatta, Bompard partecipa ad alcune esposizioni all’inizio del Novecento; ma è con l’attività di illustratore su periodici ( Italia Ride, Travaso delle Idee, Novissima, La Lettura ) che raggiunge la notorietà. In seguito si dedica anche al cartellonismo,favorito dai contatti avuti con Leonetto Cappiello esibendo comunque un tratto simile a quello di alcuni illustratori di riviste tedesche. Acquafortista di talento, Bompard è molto apprezzato per alcuni suoi manifesti di buona cura pittorica e decorativa ancorchè piuttosto tradizionali. La sua tematica si articola intorno a personaggi o fatti del mondo dell’alta borghesia e del teatro. Gli esemplari sul mercato sono infrequenti e ricercati.
La Repubblica CISALPINA e CISPADANA – IL TRICOLORE
Documento Originale-CP
In questo raro documento, splendido per la sua importanza storica, spiccano le iscrizioni: LIBERTA’ E EGUAGLIANZA, parole utilizzate nell’Età Napoleonica (19 giugno 1796 – 8 maggio 1814), IN NOME DELLA REPUBBLICA CISALPINA, repubblica nata il 9 luglio 1797 con capitale Milano, l’AMMINISTRAZIONE DEL DIPARTIMENTO DEL RENO, facenti parte della Repubblica Cispadana(Bologna, Ferrara, Modena e Reggio), proclamata il 27 dicembre 1796 con capitale Bologna; La Repubblica Cispadana fu il primo stato italiano ad adottare il tricolore come bandiera nazionale.
Inoltre si nota la scrittura manuale del giorno 29 FIORILE ANNO VII DELLA REPUBBLICA FRANCESE, nel Calendario Rivoluzionario Francese. Seguendo le tabelle di conversione il giorno corrisponde al 18 Maggio 1799.