Torre della Garisenda – Bologna 


No me poriano giamai fare menda

SONETTO –  DANTE – 1287

wp-image-1126537258

Fonte

Non mi poriano già mai fare ammenda– Sonetto (Rime LI) adespoto nel Memoriale bolognese del notaio trecentesco Enrichetto delle Querce, da cui fu trascritto primieramente nel 1869 da Giovanni Gozzadini, attribuito invece a D. in diversi manoscritti, per es. Chigiano L VIII 305 (c. 59v), Bartoliniano (c. 2v), Trivulziano 1058 (già Bossi 36: c. 41j), cod. 820 (già 824) della biblioteca Capitolare di Verona (c. 102d), cod. II II 144 della biblioteca Nazionale di Firenze (c. 28v) e cod. 2448 dell’università di Bologna (c. 1r).

Edito per la prima volta nel 1874 da Angelo Gualandi, che lo attribuì a Enrichetto delle Querce, fu ristampato l’anno dopo dal Gozzadini, e nel 1876 dal Carducci (che già l’aveva comunicato nel 1872 alla Deputazione di Storia patria per le province di Romagna), come di autore incerto. Nel biennio successivo, invece, apparve ne ” Il Propugnatore ” (voli. X-XII), con la paternità di D., nell’edizione diplomatica del ” Canzoniere Chigiano ” fatta dal Monaci e dal Molteni; e nel 1879 fu ripubblicato dal Witte, nelle Dante Forschungen, fra le rime attribuite all’Alighieri, ma con l’esplicita attestazione che esso ” di certo non gli sembrava fattura di Dante “. Flaminio Pellegrini lo dette nuovamente in luce nel 1890, tentandone una ricostituzione critica, nell’opuscolo Di un sonetto sopra la torre Garisenda attribuito a D., e, pur non esprimendo alcun parere sull’autore, si dimostrò incerto nell’assegnarlo a D., non essendo convinto che egli fosse stato a Bologna, per lo studio del diritto, nella sua giovinezza. Anche il Sighinolfi non credette alla sua autenticità, e asserì che ” l’attribuzione a Dante è pura supposizione erudita della seconda metà del sec. XIV “. Successivamente il Barbi, sul fondamento della comune concordanza dei codici, che lo ascrivono all’Alighieri, lo ristampò con le altre rime dantesche nelle sue Opere, e lo incluse fra quelle del tempo della Vita Nuova, considerando che esso è senza dubbio anteriore al 1287, quando fu compilato appunto il Memoriale in cui è contenuto. Dopo di lui nessuna incertezza è più sorta, fra gli studiosi, sull’autenticità del componimento.

Varie, e spesso discordi sono state le interpretazioni del sonetto. Alcuni, infatti, hanno creduto che il poeta si mostri sdegnatissimo e minacci i suoi occhi di accecamento per aver mirato con diletto solo la torre della Garisenda, senza porre attenzione a quella degli Asinelli, che è tanto famosa in ogni luogo per la sua altezza (Ricci, Torraca, Pellegrini, Zingarelli). Altri, al contrario, hanno supposto che la maggior de la qual si favelli sia una gentildonna, molto celebrata a Bologna per la sua avvenenza (Carducci, Barbi). Certuni, inoltre, sono stati di opinione che quella contrapposta alla Garisenda / torre sia probabilmente una donna della famiglia dei Garisendi, la maggiore, cioè ” la più alta “, se il paragone fra le due s’intende in senso scherzoso (Lovarini); ” la più illustre “, se invece si giudica scevro di ogni intento satirico (Mazzoni). Qualcuno, infine (e tralasciamo, fra l’altro, le ingegnose spiegazioni del Gualandi, del Bilancioni, dello Zenatti, del Parodi, del Filippini), ha addirittura congetturato che la prima è ‛ senhal ‘ di una donna, per il cui vagheggiamento gli occhi del poeta non conobbero ” nel suo valore ” la maggiore di tutte le altre lodate, cioè ” Beatrice lontana ” (Salvadori, Bertoni).

Il senso del sonetto, che, come afferma il Confini, è in generale ” una divertita iperbole di scuola “, non è molto evidente: per questo talune espressioni, come risguardi (v. 4), con elli (v. 8) – che nel Memoriale si leggono, rispettivamente, ” cum li sguardi “, ” sonelli ” -, poi tanto furo (v. 9), sono state argomento di varie chiose e supposizioni allo scopo di poter dare un significato possibile a lle frasi Il Carducci, ad esempio, propose di correggere belli in felli, cioè traditori, e poi in rei; il Pellegrini furo in feron, secondo la variante del cod. 820 della Capitolare di Verona; il Lovarini soneli in reveli, cioè ribelli, o in sonnelli, cioè sonnacchiosi, considerando il termine come aggettivo da unire sintatticamente col v. 9; e così via. Ci sembra a ogni modo che, fra le interpretazioni suggerite, le più logiche e conformi al senso letterale di esso restino ancora quelle del Ricci e del Carducci.

Fonte

wp-image-2141021686-e1503934964458.jpg
Cartolina Postale di Bologna 1905 – COLLEZIONEsimonarinaldi@
wp-image-1590630185.jpg
Retro Cartolina Postale Bologna 1905 – COLLEZIONEsimonarinaldi@

DONAZIONE 27 AGOSTO 1904

Dall’Archivio Storico del Comune di Bologna

 Pagina Fb dell’Archivio di Bologna

Approfondimenti:

Tiziano Costa, Bologna ‘900. Vita di un secolo, 2. ed., Bologna, Costa, 2008, p. 31


Tiziano Costa, Il grande libro delle torri bolognesi, Bologna, Costa, 2011, p. 48

Leggende

 

Donazione al comune della torre Garisenda

Il barone Raimondo Franchetti dona al Comune la torre Garisenda, da lui comprata dagli eredi Malvezzi Campeggi.

 Il nobiluomo si propone “di fare cosa gradita alla cittadinanza” e di garantire la conservazione perpetua del monumento.

L’amministrazione si impegna ad effettuare la manutenzione necessaria.

Fonte

Nascita del Manifesto – Seconda Parte


Sepo -Collezione Personale
Dagli Anni Venti fino al secondo dopoguerra, la lezione della pubblicità americana arriva in Italia e si cominciano a leggere i primi “slogan” per catturare l’attenzione del consumatore. Nella sezione sono presenti molti degli autori più noti del periodo: Codognato, Nizzoli, Cassandre, Seneca, Edel, Sepo.
Negli anni centrali del Novecento i temi della comunicazione sono la guerra, la famiglia, la solidarietà e la sicurezza. Si va dal coinvolgimento della popolazione in occasione della mobilitazione generale alla difesa dei valori nazionali durante le elezioni. Un ruolo determinante viene svolto dal dirigismo politico del periodo fascista, durante il quale le scelte politiche si trasformano in slogan: la bonifica, la guerra d’Africa, le scelte autarchiche in economia. Il Fascismo incalza e usa a man bassa lo strumento della propaganda e della pubblicità per introdurre i suoi “valori”. Come molti storici dell’arte hanno notato, in quel frangente accade una cosa insolita. Illustratori dalla parte delle donne non ritraggono signore opulente, “fattrici” di marca fascista. Le donne ritratte sono eleganti, consapevoli, colte e spesso molto presenti a se stesse. Così l’emancipazione della donna e il modello di una femminilità raggiante e indipendente si fanno strada nonostante le maglie oscure del Fascismo. E ci riescono grazie alla pubblicità, sulle riviste, ai cartelloni in strada, alle illustrazioni sui libri, grazie soprattutto agli illustratori del periodo. La ripresa industriale del dopoguerra assume presto la forma di un trionfo del prodotto e del consumo. Tutto viene prodotto e tutto viene pubblicizzato, venduto, consumato. Sono gli anni del boom economico e il manifesto esprime sempre più i nuovi valori della società e la nascita della seduzione dell’oggetto.
L’aspetto più evidente è la comparsa a livello comunicativo di nuovi prodotti prima sconosciuti: creme solari, detersivi in polvere, scatolette di carne conservata, abiti confezionati pronti, macchine da scrivere, televisori. Tra gli autori, molti sono quelli che avevano iniziato a operare prima della guerra Seneca, Boccasile, Nizzoli, alcuni nomi si fanno frequenti come quello di Ercole Brini ed Erberto Carboni. Emerge la scuola grafica Olivetti, ma la figura più significativa è quella di Armando Testa che firma alcune campagne di successo come Carpano e Simmenthal.  Dino Villani fu un protagonista degli esordi della promozione e del linguaggio pubblicitario in Italia. Nel 1934 diventa capo ufficio pubblicità della Motta, rivelando in pieno il grande talento sia per campagne pubblicitarie tradizionali, sia per l’invenzione di iniziative di promozione e di relazioni pubbliche, inserendo per primo il concetto di sponsorizzazione di eventi.
Appena entrato alla Motta affida la realizzazione del manifesto per il panettone a Sepo (Severino Pozzati), che ne fa un’immagine destinata nel tempo ad identificarsi con il marchio e, forse, con l’idea stessa di panettone. Villani si occupa anche della simultanea campagna pubblicitaria sulla stampa e dell’allestimento delle vetrine dei negozi Motta, ideando una vera e propria forma di immagine coordinata del prodotto. Nel 1939 concepisce il concorso “Cinquemila lire per un sorriso”, poi Miss Italia. Nomi importanti dello spettacolo, della cultura e dello sport faranno negli anni parte della giuria; celebre, nel 1948, la partecipazione di Totò, Lucia Bosé, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano o Sophia Loren. Dino Villani muore a Milano nel 1989.

Illustratori bolognesi


LUIGI BOMPARD
(Bologna 1879 – Roma 1953)
Trascorse a Bologna i primi anni di attività e nutriva simpatie per la grafica tedesca che trovava le sue espressioni nelle riviste “Jugend” e “Simplicissimus”. Fu un buon illustratore con ottimo polso come acquerellista. Il suo nominativo compare in numerosissime mostre tenute sia in Italia che all’estero in particolar modo a Parigi, dove acquisì l’influenza della cultura franco italiana che faceva capo a Boldini. Dopo gli anni dell’estero si trasferì definitivamente a Roma dove collaborò per l’illustrazione di numerosissime riviste italiane firmando eleganti disegni sul mondo sportivo ed elegante.
EMMA BONAZZI ( in arte TIGIU)
(Bologna 1881 – 1959)
Diplomata a pieni voti nel 1913 in pittura classica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, conquistando la medaglia del Ministero della Pubblica Istruzione. La sua capacità nel disegno e nelle tecniche pittoriche nonché nell’incisione, era supportata da un’autonomia artistica priva di influenze realiste e veriste che in quell’epoca dominavano l’ambiente. Le sue notevoli capacità erano accompagnate da una grintosa attività artistica che le fecero conseguire notevoli successi. Ottenne così il premio F.Francia, il Città di Stoccolma con una straordinaria Salomè, oltre al premio Ussi e il Curlandense. Nel 1914 aderì alla seconda secessione di Roma e nel 1919 partecipò all’esposizione della Società Amatori e Cultori. Nel 1921 la troviamo in lista nella prima biennale romana, mentre nel 1920 – 1922 partecipa alle Esposizioni Internazionali Veneziane ed alla “Fiorentina Primaverile”. Nel 1928 allestirà con successo il padiglione dell’I.S.I.A. alla mostra campionaria dei littoriali, illustrando il tema del ciclo lavorativo della seta. Fu nel frattempo nominata consulente artistica alla Perugina, creando per circa sedici anni bozzetti pubblicitari, confezioni ed oggetti regalo che contribuirono a consolidare l’immagine ed il marchio di questa azienda in tutta Europa. Informata sugli stimoli artistici europei segue con piacere la rivista inglese “The Studio” e la tedesca “Jugend” dalle quali ricava novità culturali per importarle nel suolo nazionale con varianti e trasformazioni pittoriche di suo gradimento. Ricordata come artista di raffinata immaginazione pittorica espressa con sofisticate tempere integrate da ricamo floreale su seta. La sua mano artistica si prestò a citazioni esotiche con aperture al bizantinismo favolistico, rivelando profondi intrecci con la secessione viennese di cui aveva assorbito anche impostazioni klimitiane. Si applicò con successo. La sua intensa attività grafica e cartellonistica è caratterizzata da un linguaggio pubblicitario con soggetti e raffigurazioni carichi di gioia vitalistica. I suoi fogli ed illustrazioni possiedono una particolare vena artistica priva di qualsiasi condizionamento pubblicitario. L’abilità dell’impalcato dei suoi manifesti, il dinamismo e le forme sinuose decorate da motivi ornamentali, danno una potenza espressiva all’immagine che fanno di lei un’autrice di caratura internazionale. Ricordiamo tra i suoi più celebri manifesti quello per l’acqua da tavola “Litiosina” e quello “Date Carta alla Croce Rossa” entrambi datati 1917, oltre al celeberrimo “Coppa del Re” (1921) ideato per il Gran Premio di Venezia per idrovolanti da velocità e da trasporto. Donna sensibile, raffinata ed estremamente colta, dotata di una non comune fantasia decorativa, allestirà mostre ed arredi per interni, progetterà oggetti e confezioni. Nel campo pubblicitario collaborò con la Baroni di Milano e con le Edizioni del Risveglio di Bologna. I suoi contatti più frequenti li ebbe con l’atelier Chappuis di Bologna che stampò magistralmente le sue creazioni grafiche miscelate tra il simbolismo tedesco e il Liberty floreale. . Terminerà la sua carriera nella stessa città che vide la sua nascita, il suo declinio fu inesorabile nonostante il florido periodo artistico dove tutte le pareti dovevano essere riempite di tele. Il giornale dell’Emilia scriverà un articolo invitando i lettori a devolvere un contributo in favore della Bonazzi caduta in povertà ed emarginata, appello che non verrà accolto dal pubblico, lasciando morire l’autrice in miseria.
ARNOLDO BONZAGNI
(Cento (BO) 1887 – Milano 1918)
Diplomato all’Accademia di Brera che iniziò nel 1906 sviluppando in particolare il disegno e la pittura nei modi e nelle applicazioni di Tallone. Fu amico di Boccioni e molto attento alla pittura di Previati senza però aderire al divisionismo o al futurismo. Fu abile pittore anche nell’applicazione di decorazioni ed affreschi. Nel 1913 tiene una rassegna di cartelloni satirici alla “Mostra della Caricatura” a Bergamo. Per un breve periodo di circa quindici mesi applicò le sue arti in suolo argentino collaborando col periodico umoristico “El Zorro” realizzando vignette con particolari soggetti satiro-politici e mondani. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Milano realizzando collaborazioni con numerose riviste.

SEPO
(Comacchio 1895 – Bologna 1983)
Pseudonimo di Severo Pozzati , pittore e cartellonista italiano. Cresciuto in una famiglia di artisti, studiò all’accademia di belle arti di Bologna, dove conobbe Giorgio Morandi e Osvaldo Licini.
Dopo gli esordi come scultore e pittore (nei dipinti elaborò uno stile ispirato aCézanne), dal 1917 intraprese una fortunatissima carriera di cartellonista. Nel 1919, concluso il lavoro come regista e scenografo per il film d’avanguardiaFantasia bianca, si trasferì a Parigi, dove visse fino al 1957. Nella capitale francese fu in stretto contatto con Massimo Campigli, Filippo de Pisis, Alberto Savinio, Andrea de Chirico, Gino Severini.
Autore di una grafica post-cubista incentrata su una notevole chiarezza formale, e ammiratore del linguaggio graficofuturista, si affermò nel campo del manifesto pubblicitario lavorando per noti marchi italiani ed esteri, tra cui Noveltex, Talmone, Buitoni, Maggi. Negli anni in cui la lettera M rimandava a Mussolini e al fascismo, ideò per la Motta il celebre logo della grande iniziale.
Circa duecento lavori dell’artista – tra opere grafiche, dipinti e sculture – sono oggi di proprietà del comune di Cento, donati da una nipote.

Il Manifesto Pubblicitario



L’Arte del Manifesto Pubblicitario è un argomento molto complesso e affascinante, che corrisponde ad un preciso periodo storico, testimonia i fenomeni di contaminazione fra arte e vita, l’avvento di nuove esigenze estetiche- percettive, la necessità di individualizzazione edonistica che caratterizzano la società dell’immagine fra Otto e Novecento. (teorie e dettami delle Arts &Crafts, esposizioni universali di Arti Applicate e Architettura, produzione industriale e sviluppo delle tecniche di stampa, invenzione della cromolitografia, ecc).

I primissimi manifesti al servizio dei prodotti industriali furono ancora in nero, e costituiti di solo testo. L’avanguardia nel campo del manifesto a colori fu invece rappresentata da quella particolare industria che è il mondo dello spettacolo, nelle sue varie forme. E non è un caso se i primi manifesti di questo tipo furono realizzati proprio a Parigi; una città ricca di teatri, di ritrovi e cabaret; le personalità che ebbero una parte in primo piano in questa fase del manifesto francese e poi europeo sono: Eugène Grasset, Jules Chéret e Toulouse-Lautrec.

Dalla Francia si diffuse in Europa e negli Stati Uniti parallelamente agli altri movimenti artistici e allo sviluppo industriale e commerciale.

L’Arte del manifesto nasce in Francia

In Italia la storia del manifesto moderno commissionato dall’industria porta il nome delle Officine grafiche Ricordi. Nell’atelier della Ricordi, costituitosi nel 1896, lavorò un gruppo di artisti diretto da Adolfo Hohenstein. (celebre illustratore, dalle linee sinuose e floreali dell’Art Nouveau, ricordo tra le altre la prima illustrazione del Resto del Carlino).Il sodalizio con la ditta Mele, per la quale le Officine Grafiche realizzò una serie di manifesti per circa venti anni, nacque in un clima caratterizzato dal lavoro di equipe, in cui gli artisti lavoravano fianco a fianco con i tecnici riproduttori. Per i magazzini Mele furono realizzati centinaia di manifesti dei quali scrisse perfino Eduardo Scarfoglio. In un celebre manifesto di Marcello Dudovich del 1912 una coppia sullo sfondo ammira la dama in primo piano, che a sua volta fissa chi guarda il manifesto. E’ un’idea pubblicitaria precisa: l’ammirazione per il modello. I cartellonisti erano Dudovich, Cappiello, Metlicovitz, Sacchetti, Terzi, ai quali si aggiunsero Mauzan, Nomellini, Palanti, Laskoff. Da queste officine uscirà uno dei capolavori di Hohenstein: il grande manifesto per la Tosca, caratterizzato da un gioco di luci e ombre melodrammatiche e dal curioso serpentello sulla O della scritta in stile liberty. Il linguaggio dei primi cartellonisti è liberty, e le immagini sono ancora allegoriche ( per esaltare l’industria spesso si fa ricorso alla mitologia).

D.o-C.p.


Dal seguente link sulla mostra tenutasi al Castello di Rivoli:
Negli anni centrali del Novecento i temi della comunicazione sono la guerra, la famiglia, la solidarietà e la sicurezza. Si va dal coinvolgimento della popolazione in occasione della mobilitazione generale alla difesa dei valori nazionali durante le elezioni. Un ruolo determinante viene svolto dal dirigismo politico del periodo fascista, durante il quale le scelte politiche si trasformano in slogan: la bonifica, la guerra d’Africa, le scelte autarchiche in economia. Il Fascismo incalza e usa a man bassa lo strumento della propaganda e della pubblicità per introdurre i suoi “valori”. Come molti storici dell’arte hanno notato, in quel frangente accade una cosa insolita. Illustratori dalla parte delle donne non ritraggono signore opulente, “fattrici” di marca fascista. Le donne ritratte sono eleganti, consapevoli, colte e spesso molto presenti a se stesse. Così l’emancipazione della donna e il modello di una femminilità raggiante e indipendente si fanno strada nonostante le maglie oscure del Fascismo. E ci riescono grazie alla pubblicità, sulle riviste, ai cartelloni in strada, alle illustrazioni sui libri, grazie soprattutto agli illustratori del periodo. La ripresa industriale del dopoguerra assume presto la forma di un trionfo del prodotto e del consumo. Tutto viene prodotto e tutto viene pubblicizzato, venduto, consumato. Sono gli anni del boom economico e il manifesto esprime sempre più i nuovi valori della società e la nascita della seduzione dell’oggetto. 

L’aspetto più evidente è la comparsa a livello comunicativo di nuovi prodotti prima sconosciuti: creme solari, detersivi in polvere, scatolette di carne conservata, abiti confezionati pronti, macchine da scrivere, televisori. Tra gli autori, molti sono quelli che avevano iniziato a operare prima della guerra Seneca, Boccasile, Nizzoli, alcuni nomi si fanno frequenti come quello di Ercole Brini ed Erberto Carboni. Emerge la scuola grafica Olivetti, ma la figura più significativa è quella di Armando Testa che firma alcune campagne di successo come Carpano e Simmenthal. La mostra si chiude con una sezione dedicata a Dino Villani. Protagonista degli esordi della promozione e del linguaggio pubblicitario in Italia. Nel 1934 diventa capo ufficio pubblicità della Motta, rivelando in pieno il grande talento sia per campagne pubblicitarie tradizionali, sia per l’invenzione di iniziative di promozione e di relazioni pubbliche, inserendo per primo il concetto di sponsorizzazione di eventi. 

Appena entrato alla Motta affida la realizzazione del manifesto per il panettone a Sepo (Severino Pozzati), che ne fa un’immagine destinata nel tempo ad identificarsi con il marchio e, forse, con l’idea stessa di panettone. Villani si occupa anche della simultanea campagna pubblicitaria sulla stampa e dell’allestimento delle vetrine dei negozi Motta, ideando una vera e propria forma di immagine coordinata del prodotto. Nel 1939 concepisce il concorso “Cinquemila lire per un sorriso”, poi Miss Italia. Nomi importanti dello spettacolo, della cultura e dello sport faranno negli anni parte della giuria; celebre, nel 1948, la partecipazione di Totò, Lucia Bosé, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano o Sophia Loren. Dino Villani muore a Milano nel 1989.